Sarvamo lu puorcu - Profumi e sapori della Calabria


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Sarvamo lu puorcu

Tradizioni
"Sarvamu lu puorcu"
Il rito di lavorazione del maiale


Il maiale era il re della tavola nei tempi antichi ed è il protagonista delle tradizioni legate al cibo tipico calabrese, in particolare in quella chiamata "sarvamo lu puorcu". Il suo allevamento era di vitale importanza nell’economia e nella cultura contadina. 

Si diceva, infatti: ‘N’uortu e ‘nu puorcu risuscitanu ‘nu muortu. Per i nostri antenati l’orto ed il maiale erano capaci di resuscitare i morti..
 
A seconda delle possibilità economiche, quasi tutte le famiglie ammazzavano il maiale, per assicurarsi la provvista di carne (‘u còmmitu) per tutto l’anno. La macellazione del maiale era un rito, un’occasione di festa per la famiglia ed anche per i parenti e i compari o i vicini di casa che venivano invitati per aiutare nella preparazione dei salumi. L’operazione di macellazione e lavorazione delle carni del maiale durava due o tre giorni.

Il primo giorno, dopo l’uccisione dell’animale si procedeva con grossi coltelli alla raschiatura delle setole, ammorbidite con acqua bollente; dopodichè si praticavano dei tagli sulle zampe posteriori per infilare tra i tendini un attrezzo di legno a forma trapezoidale (mangùnu o gambiàllu) che permetteva di appendere l’animale e squartarlo; quindi, le due mezzene venivano pulite, strofinandole con sale e arance spaccate; intanto le donne, dopo aver ripulito gli intestini che si utilizzavano per gli insaccati, preparavano il pranzo al quale partecipavano tutti coloro che avevano partecipato al rito.
 
Il giorno successivo si passava alla sezionatura delle parti che venivano disossate, tagliate e utilizzate in maniera diversa.
 
Del maiale non si buttava proprio niente. Si conservava il grasso, i cicoli, il lardo, la pancetta, le cotenne, le salsicce, le sopressate, i capicolli, il prosciutto; le ossa spolpate venivano conservate in salamoia (carne ‘ncataràta), poi cucinate con le verdure durante l’inverno.

Si preparava anche la gelatina, ‘i scarafògli, con le zampe, le orecchie, e parti della testa, bollite e conservate in aceto aromatizzato con foglie d’alloro. Anche la trippa veniva salata e, ricoperta di polvere di peperoncino rosso piccante, messa ad affumicare; e, poi, col sangue, cotto a bagnomaria insieme a cioccolato, zucchero, noci, pinoli e bucce d’arancia grattugiate, si preparava il “sanguinaccio”.

I salami venivano conservati ed erano poi consumati in occasione di feste.

Al rito "sarvamo lu puorcu" è legato anche quello della "corajisima".

 
Il maiale pronto 
in tavola




Una testimonianza
video



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